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La Fondazione Luchetta raccontata da Al Jazeera Balkans

A pochi giorni dal 24° anniversario della tragedia di Mostar, Al Jazeera Balkans ha dedicato alla Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin un servizio di presentazione. Riportiamo la traduzione.

 

Ricordo dei giornalisti italiani, uccisi in servizio a Mostar

Mentre stavano registrando un servizio con il bambino Zlatko, Marco, Alessandro e Dario hanno perso la vita per una granata sparata dalle posizioni dell’HVO

di Ibrahim Sofić – Al Jazeera Balkans

24 anni, fa una troupe televisiva italiana della RAI era arrivata sulla città sulla Neretva per testimoniare al mondo il terrore che stavano vivendo i bambini di Mostar durante la guerra in Bosnia-Erzegovina. Hanno cercato a lungo il modo per entrare in questa città, e ci sono finalmente riusciti il 28 gennaio 1994.

Sono entrati nella parte est della città con un convoglio umanitario dell’ONU, dopo che era stata garantita una tregua. Marco Luchetta, Alessandro Saša Ota e Dario D’Angelo volevano riportare le sofferenze dei bambini della Bosnia-Erzegovina, nell’ambito dell’intenzione della RAI di appoggiare la proposta di candidatura dei più piccoli bosniaci-erzegovesi per il Premio Nobel per la pace.

Morte nonostante i giubbotti anti-proiettile

Come spesso accadeva in tutta la Bosnia-Erzegovina, anche quella volta la tregua non è stata rispettata, e si è ricominciato a sparare mentre la troupe della RAI stava riprendendo gli abitanti della parte est di Mostar fuori dai rifugi. Si sono riparati velocemente nel rifugio, ma siccome dentro non c’era abbastanza luce per riprendere, appena la situazione fuori si è calmata, sono usciti davanti al rifugio.

Il piccolo Zlatko era corso fuori dietro a loro, proprio mentre a pochi metri dal rifugio cadde una bomba di mortaio. Solo Zlatko è sopravvissuto, mentre i tre giornalisti con i giubbotti anti-proiettile, che lo avevano circondando per riprenderlo, non si sono salvati.

Due mesi dopo l’operatore tv triestino Miran Hrovatin, che sino ad allora aveva filmato la guerra in Bosnia-Erzegovina e Croazia, venne ucciso in Somalia, a Mogadiscio, insieme alla collega della RAI Ilaria Alpi.

In onore e in memoria degli uccisi è stata creata la Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin, a Trieste.

“La Fondazione nasce dal dolore della perdita di Marco, Sasha e Dario, successivamente di Miran, e dal desiderio di trasformare questa enorme tragedia in qualcosa che potesse essere utile e che potesse continuare, in qualche modo, quello che loro avevano cominciato”, ha dichiarato ad Al Jazeera Daniela Luchetta, moglie del defunto Marco e presidente della Fondazione.

Una delle prime missioni della fondazione è stata l’evacuazione di Zlatko da Mostar.

“Accogliere il bimbo che si era salvato, protetto dai loro corpi, è stato naturale e bellissimo. E’ stata la prima dimostrazione tangibile che, se univamo i nostri sforzi, potevamo realizzare qualcosa di grande, in grado di aiutare anche altri bambini. Per questo per me la Fondazione vuol dire moltissimo : all’inizio è stato un modo concreto per ricordare Marco, oggi è qualcosa di straordinario che mi permette di aiutare delle persone, con la consapevolezza di non essere sola, ma di poter contare su una équipe e su una struttura notevoli”, sottolinea la nostra interlocutrice e aggiunge come per lei “presiedere la Fondazione sia un vero privilegio”.

Le radici familiari

Luchetta spiega che la fondazione è nata per accogliere e curare i bambini che non possono essere curati nei propri paesi, o perché sono paesi poveri o perché sono in guerra.

“In 24 anni di attività abbiamo accolto circa 700 bambini e 1000 parenti, genitori, fratellini. Tutte persone di cui la Fondazione si è presa cura nei suoi due centri di accoglienza. Oggi la Fondazione gestisce anche una terza casa di accoglienza, per richiedenti asilo (unico esempio di questo tipo in Italia), che accoglie famiglie di rifugiati con bambini malati e bisognosi di assistenza medica. Abbiamo una convenzione con il Comune di Trieste per aiutare famiglie disagiate con minori e un un centro di raccolta di vestiario usato dove si riforniscono un migliaio di persone.”

Il viaggio a Mostar nel ‘94 non era la prima volta per suo marito Marco, e neppure in questo lato del mare Adriatico.

“Certo che ricordo quelle giornate (quando è morto), e tutti i viaggi precedenti che Marco ha effettuato prima di quel 28 gennaio 1994. Ero preoccupata, ma era andato e tornato almeno una decina di volte e, anche se mi rendevo conto di quanto tutto questo lo stesse segnando e trasformando, sentivo anche quanto fosse importante per lui continuare a cercare di capire”, spiega la nostra interlocutrice e sottolinea che quello “era il suo lavoro”.

“Marco lo amava profondamente e credeva in quello che faceva. No, non ho mai cercato di fermarlo.”

Luchetta infatti ha viaggiato spesso nell’ex Jugoslavia, per le sue origini familiari.

“Per Marco e per me la ex Jugoslavia era la terra delle vacanze, dei viaggi spensierati, dei campeggi, la terra dove Marco cercava le proprie origini. Siamo andati con i bimbi fino a Curzola, da cui proveniva la famiglia Luchetta. Per me, siciliana trapiantata a Trieste, era tutta una scoperta!
Era ovvio che cercasse di capire quali dinamiche si fossero scatenate.”

A Mostar è stata una sola volta e dice che le persone e le autorità la accolsero con grande calore e gratitudine.

“Posso dire che la famiglia di Zlatko, genitori e nonni, si sono rivelate belle persone, che ho avuto la fortuna di incontrare e conoscere”, dice Daniela Luchetta.

Zlatko è in Svezia

Di suo marito abbiamo parlato anche con Giovanni Marzini, grande amico e collega di Marco. Marzini è in pensione, e prima era il caporedattore della sede RAI di Trieste. Sottolinea che Marco era andato a Mostar anche prima del 1994.

“Ci era andato l’ultima volta nel dicembre del 1993, ma non era riuscito ad entrare a Mostar Est, nella parte di città posta sotto assedio. Il mese successivo ritentò perché il TG1 (il telegiornale del primo canale nazionale RAI) voleva realizzare uno speciale sui bambini orfani della guerra civile jugoslava, in quanto possibili candidati al Nobel per la pace”, ha dichiarato per Al Jazeera.

Marzini ricorda quel tragico 28 gennaio 1994.

“La troupe era già pronta per rientrare in Italia, perché anche in quella occasione ogni tentativo di entrare a Mostar Est era risultato vano. Ma proprio prima di lasciare Mostar Ovest alcuni militari della forza di pace dissero loro che, nel primo pomeriggio, ci sarebbe stato un cessate il fuoco che avrebbe consentito di entrare a Mostar Est. Anzi, con un blindato, la troupe sarebbe stata scortata in città”, spiega e continua:

“Mentre stavano filmando un gruppo di famiglie all’interno di un rifugio, approfittando del cessate il fuoco, sono usciti all’esterno per realizzare altre riprese. Appena usciti, sono stati colpiti da un colpo di mortaio partito dalle colline che sovrastavano la città, dal settore controllato dalle forze croate. I tre sono stati uccisi sul colpo. La notizia giunse da Mostar un paio d’ore dopo alla redazione della RAI di Trieste.”

Come abbiamo saputo dalla Fondazione, il bambino Zlatko Omanovic è ora un 29-enne e si trova in Svezia, vive con la famiglia in periferia di Goeteborg. E’ ancora in contatto con le famiglie dei giornalisti uccisi, e in una rara intervista aveva dichiarato che ha sconfitto con grande fatica tutti i traumi di guerra di Mostar e che è molto grato alla Fondazione per averlo aiutato.