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25 anni fa la strage di Mostar

Mostar, 1994, in una giornata di “ordinaria” guerra in cui il cessate il fuoco veniva nuovamente violato inchiodando la popolazione civile nei rifugi, persero la vita Marco Luchetta, Alessandro Saša Ota e Dario D’Angelo, troupe TV della sede RAI di Trieste

Non era la prima volta che si avventuravano in guerra, né era la loro prima volta a Mostar, già visitata nei mesi precedenti a quel fatale gennaio. Marco, Saša e Dario ci erano tornati per testimoniare la tragedia che stava divorando i bambini della Bosnia-Erzegovina. Bambini che qualcuno stava proponendo per il Nobel per la pace.

Ma Mostar era in quei mesi uno dei focolai più terribili della guerra. La parte est, in particolare: piena di profughi, assediata, bombardata, impossibile entrarci. Ci hanno provato senza successo più e più volte. Ma proprio il 28 gennaio 1994, oramai inaspettatamente, ecco uno spiraglio: ci sarebbero entrati con un convoglio umanitario. Lì sono morti, colpiti da una delle granate di mortaio che in quel momento stavano violando il cessate il fuoco. Come ultima cosa, nel perdere la loro vita, è stato proteggere con i propri corpi la vita di Zlatko, bambino di 4 anni che era corso loro dietro, fuori dal rifugio.

Trieste, ferocemente colpita da questa tragedia, si è stretta attorno alle famiglie delle vittime. Da lì è nata la Fondazione Luchetta Ota D’Angelo, cui si aggiungerà il nome di Miran Hrovatin, ucciso neppure due mesi dopo a Mogadiscio. Nasce in quelle settimane, sotto forma di Comitato, per ricordare in modo concreto gli amici scomparsi facendo una cosa istintiva: evacuare e curare quel piccolo Zlatko. Amici e familiari decidono quindi che questo doveva essere la missione della Fondazione che porta il nome dei quattro giornalisti triestini uccisi in guerra.

25 anni dopo, un quarto di secolo, la Fondazione continua nella sua missione originaria, curare i bambini vittime della guerra e colpiti da malattie non curabili nei loro paesi, grazie a centinaia di sostenitori. Ma l’attività si è allargata, all’aiuto alle famiglie in difficoltà di Trieste, alla presa in carico con uno Sprar di famiglie richiedenti asilo, con bambini bisognosi di cure mediche, alla gestione di una Microarea a favore della cittadinanza solidale.

La storia tuttavia non ha un lieto fine. Un quarto di secolo dopo, Mostar è una città divisa, così come l’hanno vista per l’ultima volta Marco, Saša e Dario. Sì senza guerra, ma anche senza pace. Mogadiscio, invece, è sempre in mano ai signori della guerra e sulle sue vicende, così come sull’assassinio di Miran Hrovatin e Ilaria Alpi, è calato un pesante sipario. Quello stesso di 25 anni fa.