Un corridoio umanitario per i bambini yazidi
Fra Trieste e il Kurdistan iracheno si è aperto un corridoio umanitario con l’obiettivo di salvare i bambini malati della comunità Yazida, perseguitata dall’Isis perché di religione diversa. È stato possibile grazie alla cordata di solidarietà che vede la Fondazione Luchetta ospitare, con i loro genitori, sei bambini Yazidi affinché possano ricevere le cure dell’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste.
L’ultimo arrivo risale a oggi, giovedì 23 giugno: il finanziamento della fondazione “Beneficentia Stiftung”, finalizzato alla copertura delle cure sanitarie, ha permesso di ospitare nel Centro di via Valussi due bambini di 3 e 7 anni, entrambi malati di tumore, e un altro bimbo, accolto dall’Agmen.
Vanno ad aggiungersi a quattro bambini che la Fondazione Luchetta ospita dal 2016: a febbraio è arrivato il piccolo Hathal, emofiliaco; gli altri tre sono arrivati in via Valussi il 24 maggio scorso: si tratta di due fratellini, 4 e 7 anni, affetti da una malattia congenita che ne compromette la crescita, e ancora di una sedicenne colpita da una sindrome, denominata “di Klippel-Feil”.
Provengono tutti dal campo sfollati di Khanke, nel Kurdistan iracheno, dove gli yazidi sono riusciti a rifugiarsi dall’avanzata dell’Isis ma dove mancano medicinali, personale sanitario e strutture mediche adeguate. Proprio per sensibilizzare l’opinione pubblica, il 27 maggio scorso a Trieste è giunta una delegazione della comunità Yazida: prima della conferenza promossa al Caffè San dal Rotary Club di Trieste, ha visitato il Centro di via Valussi e anche l’associazione Bambini del Danubio, che accoglie altri due bambini della stessa comunità.
Ad accompagnare la delegazione, il medico triestino Marzio Babille, già rappresentante dell’Unicef in Iraq, che, fra i 400mila yazidi rifugiatisi nel Kurdistan iracheno, ha contato 300 bambini bisognosi di cure urgenti: «Come ha identificato l’amministrazione statunitense in maniera inoppugnabile, la minoranza Yazida ha subito il primo genocidio del terzo millennio. Hanno dovuto lasciare tutto all’improvviso, le loro case distrutte tra mille atrocità. Si sono riparati nei campi, dove il governo curdo e la Nazioni Unite continuano a provvedere alle loro necessità, ma i finanziamenti della Comunità internazionale hanno coperto il piano internazionale di assistenza solamente per il 50 per cento, così centinaia di famiglie non riescono ad essere assistiti».
Elena Placitelli