Mostar, 1994, in una giornata di “ordinaria” guerra in cui il cessate il fuoco veniva nuovamente violato inchiodando la popolazione civile nei rifugi, persero la vita Marco Luchetta, Alessandro Saša Ota e Dario D’Angelo, troupe TV della sede RAI di Trieste.
Non era la prima volta che si avventuravano in guerra, anzi, per quello che poteva significare nel 1994, erano preparati, attrezzati e consci di dove si muovevano e in che contesti si trovavano. Se la cavavano anche con la lingua. Non era la prima volta neppure a Mostar, già visitata nei mesi precedenti a quel fatale gennaio. Ci erano tornati per testimoniare la tragedia che stava divorando i bambini della Bosnia-Erzegovina, che qualcuno stava proponendo per il Nobel per la pace.
E poi c’era la parte est di Mostar, assediata, bombardata, impossibile entrarci. Ci hanno provato senza successo più e più volte. Ma proprio il 28 gennaio 1994, oramai inaspettatamente, ecco uno spiraglio: ci sarebbero entrati con un convoglio umanitario. Lì sono morti, colpiti da una delle granate di mortaio che in quel momento stavano violando il cessate il fuoco. Come ultima cosa, nel perdere la loro vita, è stato proteggere con i propri corpi la vita di Zlatko, bambino di 4 anni che era corso loro dietro, fuori dal rifugio.
Mogadiscio, 1994, l’esercito italiano si stava ritirando insieme alle forze ONU da una Somalia nuovamente in preda alla violenza dei “signori della guerra” insorti contro la missione di peacekeeping. Miran Hrovatin, operatore triestino, fino ad allora si è fatto le ossa come inviato di guerra “coprendo” la guerra in ex Jugoslavia. A Mogadiscio arriva insieme alla inviata RAI Ilaria Alpi, che svolge un’inchiesta di traffici illeciti di armi e rifiuti tra Italia e Somalia. Il 20 marzo 1994 però qualcuno decide di fermarli: un agguato, una sparatoria e Miran e Ilaria, abbandonati dalla scorta, rimangono uccisi. Da allora la magistratura italiana lotta contro depistaggi, omertà e false piste. L’unica cosa sicura è che i due inviati sono stati uccisi di proposito: è stata un’esecuzione.
Trieste, ferocemente colpita da queste due tragedie così vicine, si è stretta attorno alle famiglie delle vittime. Da lì è nata la Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin. Nasce in quelle settimane, sotto forma di Comitato, per ricordare in modo concreto gli amici scomparsi facendo una cosa istintiva: evacuare e curare quel piccolo Zlatko. Amici e familiari decidono quindi che questo doveva essere la missione della Fondazione che porta il nome dei quattro giornalisti triestini uccisi in guerra.
Il nostro obiettivo è garantire le cure necessarie ai piccoli feriti in guerra o colpiti da malattie non curabili nei Paesi di origine. Dal 1994 più di 800 bambini hanno alloggiato nelle strutture della Fondazione, accompagnati dai loro familiari.
In questi anni la Fondazione è diventata un punto di riferimento internazionale. Vista la crescita delle attività e l’aumento esponenziale delle richieste di aiuto, si è dotata di tre centri di accoglienza, capaci di ospitare fino a 76 persone nel rispetto degli spazi di ciascuno.
Il primo ospite è stato il piccolo Zlatko, il bambino di quattro anni che si trovava con Luchetta, Ota e D’Angelo al momento dello scoppio della granata. Ferito leggermente da alcune schegge, Zlatko è sbarcato a Trieste nel luglio del 1994 assieme alla madre, per ricongiungersi poche settimane dopo al padre rifugiato in Svezia.
Nel corso di questi anni, la Fondazione ha realizzato anche numerosi interventi di sostegno all’estero, contribuendo all’acquisto di medicine e apparecchiature mediche. Con l’inasprirsi della crisi e il conseguente allargamento delle sacche di povertà in Italia, ha esteso il proprio campo di azione al sostegno delle famiglie locali che si trovano in condizioni di particolare difficoltà.
Dal 28 gennaio 2013 la presidenza è stata assunta da Daniela Schifani-Corfini Luchetta, moglie di Marco. A partire dal 2023 la Fondazione ha ampliato le sue attività diventando un centro di accoglienza per i minori non accompagnati.