Lo situazione dei bambini «a casa loro»
“In Afghanistan la guerra è questa: più civili vengono colpiti, meglio è; e la metà delle vittime sono bambini”
— Letizia Cialli, infermiera, volontaria di Emergency
No, l’Afghanistan non è un paese pacificato, né i migranti che arrivano da noi da questo paese sono “migranti economici”, come spesso insinuano alcuni esponenti politici. E questo vale anche per buona parte dell’Africa, per lo Yemen, e il Medio Oriente. Sono le conclusioni emerse durante la conferenza “Come stanno a «casa loro»” dell’associazione politico-culturale Reset e tenutasi a Trieste il 5 ottobre.
Testimonianze di prima mano, quella dell’infermiera Letizia Cialli, volontaria di Emergency in Afghanistan, e dello psichiatra Renzo Bonn, esperto OMS nei teatri di guerra nei Balcani e in Palestina, che difficilmente trovano ascolto presso un’opinione pubblica soggetta a strumentalizzazioni politiche sul tema “emergenza migranti”. “Chi sfugge da guerre, carestie, epidemie non può essere considerato un ‘migrante economico’”, ha dichiarato Bonn.
Le situazioni narrate dai due relatori trovano riscontro lo stesso giorno nel report ONU sull’infanzia in guerra nel 2016, presentato all’Assemblea Generale dell’ONU: 15.500 i casi di ‘delitti contro l’infanzia” accertati in 20 paesi del mondo, di cui 4.000 commessi da forze governative, e 11.500 da gruppi armati non regolari (6,800 commessi dai soli Al-Shabaab, Boko Haram, ISIS e Taliban. Il peggior paese al mondo è l’Afghanistan con 3.512 bambini uccisi o mutilati nel 2016 (+24% rispetto al 2015), 84 rapiti e costretti in armi (ma cifre non ufficiali supererebbero 3000 bambini-soldato). Seguono Yemen (1.340 vittime), Siria (1.299 vittime), Iraq (834), Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan, Somalia.
Il report include anche i casi rapimento di bambini utilizzarli come schiavi sessuali (Nigeria, Iraq), bambini soldato (Yemen, Sud Sudan, RD Congo, Colombia, Mali, Myanmar), per attacchi suicidi (Somalia, Siria, Nigeria), e casi di detenzione di bambini ( 712 in Palestina, 444 in Israele). Costante in tutto il mondo è la distruzione di ospedali infantili, scuole e asili o il loro utilizzo per scopi militari.
Cosa possiamo fare noi? “Non girare la testa dall’altra parte. E’ per questo che la Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovantin ha deciso di estendere la propria attività anche ai richiedenti asilo, sempre con attenzione ai bambini, — ha dichiarato durante la conferenza la presidente Daniela Corfini Schifani Luchetta — e abbiamo trasformato a casa lasciataci in eredità a Bristie dal signor Marino Steffè in un centro di accoglienza SPRAR, grazie alla collaborazione con l’ICS-Consorzio Italiano di Solidarietà e il comune di Sgonico-Zgonik.”
“In questi primi 12 mesi — ha spiegato la responsabile del progetto SPRAR di Bristie, Maria Lipone — Fondazione Luchetta e ICS hanno accolto 4 famiglie con bambini bisognosi di assistenza sanitaria, tre dalla Nigeria e una dalla Libia. Una quinta famiglia dal Mali è in arrivo. Mentre i bambini seguono le loro terapie, gli operatori si occupano dei percorsi di integrazione per i genitori. Prima di tutto i corsi di italiano, poi corsi di sicurezza di lavoro e tirocini. Per due genitori sono già state trovate posizioni di lavoro, e un terzo è prossimo a raggiungere questo obiettivo, così importante per la stabilità familiare e il percorso di integrazione”.