25 anni dopo – “Testimoni della tragedia del passato, non possiamo ignorare questa di oggi”
La vita, il giornalismo e il dramma dell’ex Jugoslavia visti attraverso gli occhi di Marco Luchetta, e la lezione di umanità che hanno lasciato dietro di sé, Marco, Alessandro e Dario, a i propri figli. E’ questa la testimonianza della presidente della Fondazione, Daniela Schifani Corfini Luchetta, resa agli amici e rappresentanti istituzionali, durante la commemorazione dei 25 anni dalla strage di Mostar in Consiglio comunale di Trieste, il 28 gennaio scorso.
«Alla luce di quanto sta avvenendo in questo periodo in Italia, in Europa e purtroppo nel mondo, il significato della morte di Marco, Alessandro e Dario assume sicuramente una valenza in più. Non posso accettare che si ricordino con tanta enfasi le tragedie del passato, dimenticando quelle del presente.
Voglio testimoniare qua, chiaramente soltanto a titolo personale anche se credo che il pensiero di Saša e Dario non fosse diverso, lo sgomento di Marco per il cambiamento che ha visto avvenire sotto i nostri occhi in maniera così repentina nella ex Jugoslavia. Quella volta, quando noi eravamo ragazzi, dire Jugoslavia significava campeggi, vacanze, gite in barca, questo era quello che noi pensavamo. Marco si è trovato ad assistere ad un cambiamento velocissimo, senza che nessuno potesse avere l’autorità per fermare quella deriva.
Ricordo molto bene l’ultima vacanza che abbiamo fatto tutti e quattro assieme a Pakoštane, in un campeggio in Dalmazia. Allora per tornare a casa, ci abbiamo impiegato più di dieci ore per riuscire a raggiungere Trieste, perché la Croazia era già attraversata dai nazionalisti che creavano degli ingorghi. Creavano appositamente dei disagi per i turisti. Ricordo che in quel frangente Marco era angosciatissimo e mi diceva, “Daniela, qua sta succedendo qualcosa, e nessuno sembra veramente in grado di fermarla”.
L’Europa, il Papa, nessuno in quel momento ha avuto evidentemente la lucidità di capire quello che stava succedendo. Noi eravamo forse anche in un momento della nostra esistenza pieni di sogni e illusioni: nell’89 era caduto il Muro di Berlino, e l’Europa unita c’era già e stava andando verso un allargamento e nessuno si permetteva di metterla in discussione. Anzi, era un valore assoluto in cui ci insegnavano a credere fin da bambini. Penso che la Jugosalvia in quel momento era una anacronistica anomalia, e non l’abbiamo visto accadere tutto questo sotto i nostri occhi.
Milenka Ota e Nataly D’Angelo: vogliamo verità
«Il buon giornalismo viene fatto solamente in loco. Per cui faccio un appello adesso alle istituzioni, alle reti nazionali sia pubbliche che private, che dotino i propri operatori in loco di strumenti atti a prevenire, per quello che possibile, qualsiasi incidente». Lo chiede Milenka Ota, moglie di Alessandro, intervenuta alla cerimonia.
«Un’altra cosa che tengo dentro già da 25 anni- continua- è che da noi non si è mai fatta giustizia. C’è stata un’inchiesta, è stata anche subito chiusa e non si è mai arrivato a delle conclusioni. Sì, c’era la guerra, era difficile andare giù, ma penso che sarebbe stato opportuno cercare di capire un po’ di più di tutto quello che era successo e per quali motivi».
Alla richiesta si aggiunge anche Nataly, figlia di Dario D’Angelo, visibilmente emozionata: «Faccio mie le parole di Milenka. Sono 25 anni che aspettiamo di avere qualche notizia anche noi, perché non è vita questa».
Credo che se veramente vogliamo onorare oggi la memoria di Marco, Alessandro e Dario, dobbiamo capire il monito che ci viene dalla loro morte. A che cosa può portare il nazionalismo, a che cosa può portare la chiusura, la distruzione di ponti -visto che simbolicamente parliamo di Mostar-, la costruzione di muri. A che cosa in un unica frase può portare la mancanza di solidarietà in una società che vorrebbe essere civile.
Per questo motivo, come presidente della Fondazione che li ricorda, mi sento e mi permetto di sottoscrivere e di rilanciare l’appello dei medici del Burlo che è stato diramato un paio di giorni fa a favore dell’accoglienza. La Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin ha spalle larghe e entusiasmo, per fare la sua parte in questo momento così drammatico per l’umanità. E scusatemi se mi permetto, voglio sottolineare che questo non è un discorso politico. Anzi, voglio citare con molta umiltà le parole di Gino Strada che ha detto, “io non mi occupo di politica, io mi occupo di salvare persone”. Penso che questo sia il messaggio che dobbiamo raccogliere e diffondere.
Vorrei quindi che alle belle parole di questi giorni seguissero dei fatti, perché solo così avremo davvero onorato la morte, ma soprattutto la vita, di chi si è speso per cercare di capire e raccontare quanto stava avvenendo, anche perché -e di questo sono sicura- avrebbe voluto lasciare un mondo migliore a Carolina e Andrea».